Lirio Abbate “interrogato” dagli studenti di Parma

da Repubblica.it di Alessandro Trentadue con foto di Elisa Contini

L’incontro con il giornalista che nel 2006 ha seguito la cattura del boss mafioso trasferito da poco in via Burla. Ultimo ospite del Festival Minimondi, Lirio Abbate è stato invitato dagli studenti del Marconi all’assemblea d’istituto che si è svolta al cinema Astra. La mafia vissuta sul campo e i consigli su come combatterla anche sul nostro territorio. Ai ragazzi: “Createvi degli anticorpi, altrimenti sarete fottuti”.

“Provenzano? Per Parma il pericolo è fuori dal carcere”
Non lo lasciano andare. Si complimentano e gli fanno domande per oltre due ore. Poi lo scortano all’uscita del cinema. Fuori, dove lo aspetta la sua vera scorta. Lirio Abbate racconta gli esiti delle sue inchieste contro la mafia di fronte a cinquecento studenti del Marconi. Ultimo ospite del Festival Minimondi, è stato invitato a parlare alla loro assemblea d’istituto che si è tenuta stamattina all’Astra. “Ha ricevuto un’altra minaccia qualche giorno fa” mormorano i ragazzi prima dell’incontro. Nonostante questo il giornalista è presente. Microfono alla mano e disponibilità infinità, ed è tutto loro.

PROVENZANO A CASA NOSTRA - I ragazzi conoscono Lirio Abbate soprattutto per essere stato l’unico giornalista sul posto nel momento della cattura del superlatitante Bernardo Provenzano. Così l’hanno introdotto i loro insegnanti. E il boss mafioso adesso è qui da noi . “Provenzano non è pericoloso – spiega il giornalista – innanzitutto perché è in galera. Poi è rimasto a lungo fuori dal gioco, non ha nemmeno tentato di prendere in mano le redini dell’Organizzazione quando poteva”. Molti segnali invece fanno intendere che il capo di Nostra è ancora Totò Riina, continua Abbate. Provenzano è stato un vicario, un vice del Capo dei capi durante la sua latitanza. Lo dimostra il fatto che non sono stati pianificati “omicidi eccellenti” durante la reggenza del boss che ora è di casa a via Burla.
“Il vero pericolo – sostiene il giornalista – è fuori dal carcere. Nel territorio, tra le vostre imprese, in quei professionisti in giacca e cravatta che vengono nelle province ricche dell’Emilia a investire i soldi della mafia”.

PARMA CITTÀ “APPETIBILE” - Così la definisce. Appetibile. “A Parma la mafia sta prendendo piede alla grande – dice – si legge nelle inchieste giudiziarie di Palermo e di Reggio Calabria, per esempio. Ci sono anche investigatori che dalla Sicilia vengono trasferiti qui per proseguire le indagini”. Già la nostra provincia è stata terra di confino dei boss negli anni ‘80. Adesso, con la nuova generazione di mafiosi, è diventata terra di investimento. “Le mafie hanno una grandissima quantità di denaro da spendere – spiega Abbate – e lo fanno dove possono confondersi con altri imprenditori ricchi”. Risultato: l’economia legale s’inquina e la mafia si espande. Iniziano costruendo un’impresa, fondando società di diverso tipo. Poi si aggiudicano un appalto pubblico e costruiscono infrastrutture. Da lì al legame con la politica il passo è breve. Attraverso gli amministratori (“che magari hanno già negato l’esistenza della mafia nella vostra realtà locale”) inseriscono i loro rappresentanti nelle liste politiche, poi si organizzano per comprare i voti. Funziona così. “E tutto questo i vostri politici lo sanno, così come i direttori delle banche anche qui da voi conoscono uno per uno i grossi clienti e riconoscono chi di loro è un usuraio”.
L’espansione delle “cosche” va prevenuta. Non aiuta certo il governo, con le sue contraddizioni nella lotta alle organizzazioni criminali. Oltre ai suoi rappresentanti indagati per associazione mafiosa, le istituzioni proclamano di voler combattere le organizzazioni criminali e poi tagliano i fondi alle forze di Polizia. “Com’è che gli oltre 100miliardi di beni confiscati ai mafiosi sono finiti ai vari ministeri invece che alle forze dell’ordine?” si chiede Abbate. Poi: “È comodo poi prendersi i meriti della cattura del boss mafioso di turno quando in realtà il lavoraccio l’hanno fatto polizia, carabinieri e guardia di finanza che guadagnano un decimo dei politici”.

LA MAFIA SENZA IL CANNOCCHIALE - “Si può sconfiggere la mafia?” chiede una studentessa. Abbate sorride amaro: “Lo spero, ma sopravviverà ancora a lungo, senz’altro per qualche secolo”. C’è un solo modo per combatterla, sostiene il giornalista: stare nel territorio dove si annida, annusare la “puzza della paura” della gente. Non serve raccontare la mafia da lontano, col cannocchiale. La resistenza va portata avanti con i fatti, con l’impegno di ciascuno. Nessuno show televisivo, nessuna fiction, nessun monologo impegnato di chi si mette in cattedra. “Lasciateli da parte e concentratevi solo sulla resistenza attiva alle organizzazioni criminali, come fa Don Ciotti. Da parte mia, sono fortunato che L’Espresso mi permette di continuare le mie inchieste giornalistiche. Non è facile trovare chi pubblica questo tipo di ricerche”.
Poi l’invito ai ragazzi di Parma: “Potete farlo anche voi sul vostro territorio. Dovete crearvi degli anticorpi contro la mafia, altrimenti in futuro sarete fottuti perché controllerà tutto come ha fatto nelle mie terre”. Abbate li saluta con una storia. Quella di una persona che fin dall’età dei ragazzi del Marconi ha denunciato e fatto conoscere la mafia in Sicilia. Un giorno dalle intercettazioni salta fuori che i capi locali di Cosa Nostra stanno pianificando di farla fuori. Allora questa persona viene messa sotto scorta. Continua a scrivere e raccontare, mentre dall’altra parte nuove intimidazioni e minacce. Gli mettono una bomba sotto la macchina, per fortuna disinnescata in tempo. Durante un processo, Leoluca Bagarella – uno dei più feroci mafiosi legato al clan dei corleonesi, pluriergastolano e altro “ospite” eccellente del carcere di Parma – si scaglia contro il protagonista del racconto e gli rivela apertamente la condanna che la mafia gli ha fatto. “Nonostante tutto questo, la persona di cui vi parlo continua a scrivere e a rendere note le trame nascoste delle organizzazioni mafiose”. Silenzio nel cinema. I ragazzi hanno capito che quella persona adesso è lì, davanti a loro.